p. Gianfranco Lunardon

Introduzione

Anche quest’anno, il primo settembre siamo invitati a celebrare la giornata per la custodia del creato: una giornata per sensibilizzare donne e uomini di buona volontà per una vera e autentica conversione ecologica, secondo la prospettiva dell’ecologia integrale della Laudato si’, perché – nel dialogo e nella pace tra le diverse fedi e culture la famiglia umana possa vivere sostenibilmente sulla terra che ci è stata donata.
La giornata per la custodia del creato è un’occasione per conoscere e comprendere la realtà fragile e preziosa della creazione: Laudato si’ invita ad “uno sguardo contemplativo” per ammirare le creature della terra ed in particolare il mondo della vita, così vario e rigoglioso. Una contemplazione che è anche sguardo preoccupato sul creato, minacciato dall’assunzione di comportamenti irresponsabili.
Dio ha donato all’uomo «la terra, il mare e tutto ciò che essi contengono» (Sal 146,6; At 14,15). Ha messo a sua disposizione il cielo, così come il sole, la luna e le stelle. Ha accordato agli uomini le piogge, i venti e tutto ciò che è nel mondo. E dopo tutto questo ha donato sé stesso. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16) per la vita del mondo.
Queste parole del grande esegeta alessandrino Origene (II-III sec. d.C.) esprimono in modo semplice ma molto efficace la fonte della riflessione teologica cristiana relativa alla salvaguardia del creato: l’uomo è chiamato a prendersi cura del creato in quanto esso è frutto dell’amore di Dio, che si è compiaciuto di donarlo all’uomo stesso, da Dio «reso sovrano sulle opere delle sue mani» (cf. Sal 8,7).
Già papa Benedetto XVI aveva dedicato all’ecologia il tradizionale messaggio per la 43a giornata mondiale della pace (‘Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato’ – 1 gennaio 2010), sottolineando il legame inscindibile tra custodia del creato ed umanesimo plenario: “è indispensabile che l’umanità rinnovi e rafforzi quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino”.
Ma è stato papa Francesco che ha impresso una decisiva accelerazione a questo binomio, con la riproposizione di un’espressione di grande efficacia semantica e densa di conseguenze religiose, spirituali ed etiche: il ‘Vangelo della creazione’.
L’espressione ‘Vangelo della creazione’ viene direttamente dal titolo del II capitolo Laudato si’ (nn.62-100), quello che costituisce il vero nucleo dell’enciclica. È in esso, infatti, che papa Francesco dispiega, in un’ampia traiettoria biblica, quello sguardo fraterno sulla creazione che egli – come sottolinea l’introduzione (nn.1-16) – riprende da Francesco d’Assisi e che qualifica il punto di vista del testo.
La ricchezza di tale sezione permette (almeno) due prospettive di lettura, non certo contrapposte, ma piuttosto complementari; sarà dunque a partire dalla loro presentazione che si potrà giungere ad esplorare la fondamentale nozione di ‘ecologia integrale’, che costituisce l’oggetto specifico del IV capitolo (nn. 137-162).

1. La tenerezza, la cura, la speranza
Due prospettive di lettura, accomunate dall’ampiezza del riferimento biblico: un vero attraversamento del canone delle scritture (libri storici, profetici, sapienziali, vangeli e altri scritti del NT) tutto condotto proprio nel segno del riferimento alla creazione.
La prima prospettiva potremmo evocarla parlando di un annuncio del Vangelo per l’intero creato, della narrazione di un amore a dimensione cosmica che si rivolge ad ogni vivente: “ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo” (n. 77).
In tale direzione vanno pure le pagine dedicate allo sguardo di Gesù sul mondo creato, che chiamano a condividere il suo affetto per ogni creatura (nn. 96-100). È in tale prospettiva, marcatamente teologica – che si radicano anche le significative indicazioni presenti in diverse sezioni dell’enciclica, circa alcune importanti questioni etiche. penso alla sottolineatura del valore intrinseco del mondo (n. 115), aldilà della sua funzionalità ai bisogni degli esseri umani.
Penso ancora, all’invito a riconoscere il valore delle singole creature, delle specie (n. 33), dei “polmoni del pianeta colmi di biodiversità” (n. 38), degli ecosistemi (n. 140) ed a praticarne la cura, quale dimensione qualificante per lo stesso essere credente. Potremmo cogliere il senso di tali indicazioni richiamando la critica dell’antropocentrismo assoluto della modernità presente nell’enciclica: sarebbe profondamente sbagliato “pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano” (n. 82).
È anche importante, però, cogliere l’ampiezza dell’equilibrata prospettiva indicata da papa Francesco: la critica di un antropocentrismo “dispotico” (n. 68) e “deviato” (n. 69), non mira ad “equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità” (n. 90).
Non potrebbe, infatti, “essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo, nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani” (n. 91). Al contrario, proprio perché “tutto è collegato”, occorre tenere unita la “preoccupazione per l’ambiente” con “un sincero amore per gli esseri umani e un costante impegno riguardo ai problemi della società” (n. 91), giacché “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (n. 139).
Non a caso la stessa accentuazione della signoria affettuosa di Dio sul creato, trova espressione anche nel riferimento alla destinazione universale dei beni della terra, come critica ad un sistema “iniquo” (nn. 48-52), ad ogni visione della proprietà privata che non si faccia carico di una solidarietà accogliente, a dimensione globale: si tratta insomma di abitare il creato nel segno della relazione e della comunione universale: “siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra” (n. 92).
Le ultime parole appena accennate, orientano anche a cogliere la seconda prospettiva a cui si accennava: la lettura dei testi di creazione condotta nel II capitolo della Laudato si’ vi scopre anche un vero e proprio Evangelium. Vive cioè in essi, un buon annuncio per l’umanità e per la sua esistenza entro la creazione, radicato nell’esperienza di un Dio che sovrasta il caos cosmico e l’ingiustizia umana: “se Dio ha potuto creare l’universo dal nulla, può anche intervenire in questo mondo e vincere ogni forma di male. dunque, l’ingiustizia non è invincibile” (n. 72), è la chiara affermazione dell’inscindibile intreccio di creazione e redenzione: “nella bibbia, il Dio che libera e salva è lo stesso che ha creato l’universo, e questi due modi di agire divini sono intimamente e indissolubilmente legati” (n. 73).
Non a caso la Laudato si’, si chiuderà nel cap. VI (nn. 202-246) con un forte grido di speranza, con un invito a non disperare mai nella possibilità del cambiamento, ma a lasciarsi piuttosto coinvolgere in prima persona nella dinamica della conversione ecologica. È anche per mantenere viva tale speranza che essa invita a contemplare il creato con gli occhi della fede – gli occhi di Francesco d’Assisi – per comprenderlo come “linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio” (n. 84).

2. Lo sguardo e l’ascolto
Potrebbe sembrare che questa lettura del capitolo II della Laudato si’ abbia privilegiato toni troppo delicati, quasi lasciando in parentesi il dramma del negativo che abita la nostra casa comune e che papa Francesco conosce bene: già fin dalle prime battute dell’enciclica egli sottolinea che sorella terra protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei.
Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22) (n. 2).
Proprio nella scoperta della contraddizione tra la bellezza/bontà donata che contempliamo ed il grido lacerante che pure attraversa il creato, in effetti, si radica l’esigenza della cura per la casa comune, espressa fin dal sottotitolo della Laudato si’. Per questo essa è anche un invito ad affinare le nostre orecchie, per essere più capaci di cogliere il grido della terra, nel suo intreccio con quello dei poveri (n. 49).
Potremmo leggere, la stessa enciclica come l’indicazione di un metodo, di un cammino di formazione, che tutte le nostre comunità sono chiamate a condividere: proprio lo sguardo credente, così attento alla bontà del mondo, informa le tappe di un percorso che esige:
– in primo luogo l’ascolto attento delle grida che provengono dalle vittime del mutamento climatico o dai morti per l’inquinamento; dall’Amazzonia privata delle sue foreste, dai mari sfruttati senza limiti o dalle specie che si estinguono (magari senza essere neppure mai state riconosciute e contemplate);
– in secondo luogo la comprensione, oltre l’emotività delle reazioni immediate: è lo stile del I capitolo dell’enciclica, che dedica un esame attento ad alcune dimensioni critiche della crisi ecologico-sociale, cogliendo i fattori chiave in cui essa si esprime e le dinamiche che la determinano. Non è un esercizio meramente intellettuale, ma l’esigenza di cogliere davvero con gli strumenti offerti alle diverse scienze “ciò che sta accadendo alla nostra casa” (è il titolo del cap. I, nn. 17-61): la dinamica di sfruttamento delle risorse della terra e delle persone che un sistema economico iniquo sta realizzando;
– infine la risposta: quella che trova espressione nella concreta custodia delle realtà vivente, così come quella che si esprime nell’esigenza di cambiamento del sistema, in ciò che ha di più inaccettabile (in tal senso soprattutto il cap. V, nn. 163-201). È comunque l’espressione di un rispondere, di un’assunzione di quella responsabilità che già Benedetto XVI nella Caritas in Veritate segnalava come dimensione fondamentale dell’atteggiamento morale credente. La Laudato si’ sottolinea che “su molte questioni concrete, la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione” (n. 61), ma invita anche a prendere sul serio l’urgenza impellente delle questioni in gioco – si pensi al mutamento climatico – cui occorre far fronte con un’azione incisiva.

3. Ecologia integrale
Quanto appena accennato aiuta a comprendere meglio anche il senso della seconda espressione che compare nel titolo di questo intervento: “ecologia integrale”. La dimensione di integralità è certo essenziale per cogliere davvero il messaggio della Laudato si’; lo stesso Francesco ha chiarito che essa non va letta come un’enciclica verde, ma come enciclica sociale: l’attenzione per l’ecologia ambientale e la cura per la terra, – “casa comune” – non può andare a detrimento dell’ecologia umana e della cura per gli esseri umani.
L’enciclica prende, ad esempio, le distanze da chi ritenga che “la specie umana, con qualunque suo intervento, può essere solo una minaccia e di conseguenza compromettere l’ecosistema mondiale, per cui conviene ridurre la sua presenza sul pianeta e impedirle ogni tipo di intervento” (n. 60). La sua è invece una posizione chiaramente umanista, ma di un umanesimo nuovo, solidale ed attento al proprio radicamento nella terra, colta come madre.
Non è neppure possibile, in tal senso, contrapporre l’ecologia umana a quella ambientale, quasi la seconda rappresentasse un approccio superficiale, inadeguato. Al contrario: proprio mantenendo forte – come fa il I capitolo della Laudato si’ – il raccordo con la concretezza delle questioni ambientali nella loro specificità, si rafforza l’idea di un’ecologia dell’umano, colto nella sua piena integralità; proprio prendendo sul serio quello che nel sentire comune è il referente immediato dell’espressione – l’ecologia ambientale – si rafforza la ri-significazione operata dall’aggettivo integrale.
Così possiamo comprendere la funzione centrale – in diversi sensi – che essa ha per l’impianto della Laudato si’. Da un lato, infatti, ha una valenza di significato, di richiamo contro approcci riduzionistici: “l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano” (n. 11). Non a caso il capitolo IV ne esamina anche dimensioni che solo di rado vengono associate all’espressione ecologia: quella culturale (nn. 143-146) o quella del vissuto nelle comunità urbane (nn. 147-155). Dall’altro, però, essa gioca un ruolo chiave per un’enciclica che tiene efficacemente assieme una dimensione profondamente teologica e contemplativa ed una di convocazione, ad ampio raggio, indirizzata “a ogni persona che abita questo pianeta”, per “entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune” (n. 3).
Nell’idea di ecologia integrale, infatti, papa Francesco raccorda quel senso di urgenza del cambiamento, che gran parte dell’umanità associa ormai alla questione ambientale, con la percezione del suo ineludibile collegamento alla dimensione sociale, culturale, antropologica (si pensi al cap. III) ed educativa (cap. VI). Un’espansione di senso, dunque, analoga a quella realizzata nei nn. 216-221 del cap. VI per l’idea di “conversione ecologica”.
Ecco, allora, che l’ecologia integrale viene ad assumere una funzione in qualche modo analoga a quella che ha tradizionalmente per la prospettiva etico-sociale cattolica il bene comune, cui non a caso si fa riferimento proprio nel cap. VI (ai nn. 156-158). Viene, infatti, a declinarsi come obiettivo polidimensionale, cui indirizzare gli sforzi delle diverse componenti sociali, in ordine al ben-vivere della società globale. Un obiettivo condiviso – “l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti” recita il n. 95 – attorno al quale è possibile convocare uomini e donne di appartenenze ideali anche profondamente differenti, per un dialogo orientato alla cura della casa comune. un concetto chiave, dunque per quell’opera di mediazione culturale e sociale che sta al centro della formazione socio-politica in una società plurale.
Un concetto che permette di inserire nello stesso dialogo per la casa comune alcune parole assolutamente specifiche dell’esperienza di fede cristiana. Penso in tal senso, al legame che viene ad istituirsi tra l’esperienza ecologica condivisa dell’interconnessione relazionale del nostro mondo, così centrale per il IV capitolo (“tutto è connesso” afferma il n. 138), e la sua interpretazione come comunione nella creaturalità: “noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile” (n. 89). Penso, ancora, all’ulteriore rilettura offerta nei numeri finali dell’enciclica alla luce della fede in un Creatore trinitario: “il mondo, creato secondo il modello divino, è una trama di relazioni” e tale rete di collegamenti “invita a maturare una spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della trinità” (n. 240).

4. Per una spiritualità ecologica
Una antifona della liturgia delle ore così recita: Dal sorgere del sole sino al suo tramonto sia lodato il nome del Signore (dal salmo 112). Che forma deve avere nell’oggi della storia questa lode? Non è forse il rispondere, nella dimensione concreta del nostro vivere – ovvero con la nostra modalità di “abitare la terra” e di produrre e consumare e di vivere le relazioni con l’altro e con “le cose” – alla convocazione del Dio Creatore di tutte le cose, affinché ritorniamo a re-incontrare il volto del Creatore nel creato?
Scriveva Simone Weil che il sorriso di Gesù risplende nelle bellezze della terra. Ma che ne abbiamo fatto delle cose “buone e belle” che il Creatore ci ha consegnato? Che ne abbiamo fatto del sorriso di Dio? Questo “allontanamento” dalla collaborazione con il Creatore ha portato alla costruzione dei “territori della dissomiglianza da Dio” in cui proliferano molteplici “iniquità”, molteplici “sfregi all’ordine delle cose” che il Dio creatore ha generato. L’evangelista luca ci ricorda: “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde se stesso?” (Lc 9, 25). Certo l’uomo ha “guadagnato” il mondo ma forse lo sta perdendo nella cecità della sua bramosia che preclude un futuro. Il volto dell’uomo e della terra sono stati sfigurati; e la terra e l’uomo dell’oggi sono nella sofferenza!
Papa Francesco con la sua enciclica Laudato si’ si è fatto interprete di questa sofferenza, della sofferenza degli uomini e della terra, ascoltando anche la “sofferenza di Dio”, sempre alla ricerca di un amico umano che “collabori” alla sua continua opera di creazione e la custodisca.
Papa Francesco ci ha ricordato che l’uomo non è “al centro del mondo”, attorno al quale tutto deve essere strumentalmente riferito, ma deve imparare “a vivere con”, integrandosi con la natura di cui deve farsi carico e nella comunità delle co-creature che abitano quel villaggio globale che è la nostra terra.
Il teologo J. Moltmann così afferma circa “il posto dell’uomo” nell’ordine del creato: “gli uomini, nella loro peculiarità, nella loro destinazione e nella loro speranza di vita, sono una parte della natura. Dunque essi non sono al centro del mondo, ma per sopravvivere si devono integrare nella natura della terra e nella comunità delle co-creature con cui vivono”. In altre parole devono imparare, gli uomini, a relazionarsi con tutte le forme di alterità da sé, create da Dio Padre. Questa modalità di percepirsi nell’ordine del tutto con-creato è fondamentale per evitare di scadere in logiche impositive dell’autoreferenzialità umana, in logiche arroganti (di chi cioè si arroga il criterio all’agire a prescindere dal contesto di cui fa parte) che portano ad un uso scriteriato dei beni della terra, salvo poi lamentarsi d’innanzi a criticità ambientali che per l’appunto mettono in crisi il nostro scriteriato stile di vita.
L’autoreferenzialità, ovvero l’essere autocentrati, porta inevitabilmente ad avere un rapporto solo strumentale con gli altri che mi stanno accanto e con la natura, un rapporto “usa e getta” che tutto usa, dai beni materiali agli affetti e persino le relazioni umane. Se appare evidente che i tempi reclamano una nuova modalità dell’operare dell’uomo, non si può non partire dalla urgenza della “rigenerazione dell’uomo”, affinché diventi “capace di operare” per esercitare la sua funzione nel creato e con il creato; per “operare la giustizia”. Per tutti è venuto il tempo di rispondere a questa voce del papa con il proprio specifico “eccomi!”. Ma la “cura e custodia del creato” non può darsi se i custodi non sono “costituiti”, anzi se l’uomo non è rinnovato, non è rigenerato dallo spirito.
Certo, le conoscenze del mondo delle tecno scienze possono darci gli “strumenti” indispensabili all’operare, ma occorre che gli “strumenti” siano “governati” da uomini che abbiano la consapevolezza del bene comune; la consapevolezza di quanto è conveniente alla natura umana e utile all’umano consorzio. Le tecnologie, in quanto strumenti dell’operare dell’uomo e del suo “rapportarsi” con la natura e l’ambiente, non sono mai neutrali rispetto alla questione ecologica.
Avere “occhi nuovi” (purificati!) dunque, per riconoscere il Creatore nel creato e così poter assumere “gli impegni verso il creato che il vangelo di Gesù ci propone” (n. 246): questo implica il saper vedere il mondo e riconoscerne le sue intrinseche complessità; – che implica il saper “vegliare” ovvero lo “stare con” e “sporcarsi le mani con”, anche esercitando “una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale” (n. 206); che implica il saper essere segno profetico anche con la testimonianza “controcorrente” di uno stile di vita capace di tessere nuove relazionalità umane (la vita di condivisione con i fratelli) e nuove modalità di vivere il rapporto con ciò che papa Francesco non ha esitato a chiamare “la nostra madre terra”, costruendo quindi un habitat “dal volto umano”.

Conclusione
Davvero la Laudato si’ offre stimoli e spunti per rinnovare profondamente la presentazione del pensiero sociale della Chiesa, approfondendone il radicamento nella scrittura e nella tradizione, ma anche elaborandolo in forme capaci di interpretare efficacemente il vissuto dell’umanità di questo tempo, cogliendolo cioè – secondo l’indicazione del n. 1 della Costituzione Conciliare Gaudium et Spes – nelle sue gioie e nelle sue speranze, nelle sue tristezze e nelle sue angosce. Vive insomma in essa quella pratica che il Concilio ha indicato come qualificante per la missione delle comunità cristiane: la capacità di “discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo (...) affinché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa, e per adattarla con più successo ai nostri tempi” (GS n. 44).
Risulta con evidenza che salvaguardare, custodire e redimere la creazione appare come un comandamento dato agli uomini prima della legge consegnata a Mosè. Insieme al comando del riposo sabbatico, c’è il comando di custodire e coltivare il giardino: comando rivolto a tutti gli uomini…
L’uomo deve scegliere tra l’essere il luogotenente di Dio che regna sulla creazione e autorevolmente ne accresce la vita, o essere deturpatore, sfruttatore, dominatore della creazione. L’uomo non pecca solo contro Dio, contro i fratelli, contro sé stesso, ma anche contro la natura, rendendo sovente la terra desolata.
L’Adam della prima creazione, il terrestre, nel suo peccare, ha peccato e pecca anche contro la creazione, ma il nuovo Adamo (cf. 1Cor 15,45), ultimo venuto ma primo nel pensiero di Dio, ha saputo vivere con la creazione in modo esemplare. Il suo agire messianico non riguardava solo il rapporto con gli uomini ma anche quello con la creazione: Gesù ha amato la terra, le è restato fedele, si è mostrato un contemplativo della creazione, capace di vedere in essa un dono di Dio e una responsabilità per l’uomo. Riconciliato con la natura, con gli animali, con i lavori dell’uomo, con la realtà quotidiana, dalla contemplazione della natura ha saputo trarre lezione, consolazione, e ha saputo rispondere al gemito presente in ogni cosa. Non è stato solo «il bel/buon pastore» (Gv 10,11) delle pecore, ma anche della natura!
E noi, alla sua sequela, di fronte al «deserto che avanza» – come annunciava Nietzsche –, di fronte alla terra sempre più desolata, dovremmo imparare da lui a scorgere nella profondità della creazione la signatura rerum, la scrittura delle cose, a cogliere non solo le lacrimae rerum (cf. Rm 8,22), ma anche le laudes rerum (cf. Sal 19,2-5; Bar 3,34-35).